2000 Nicola Carrino

HO INTERVISTATO L'ARTISTA NICOLA CARRINO PER COMPRENDERE E FAR COMPRENDERE

Dopo anni dl abbandono delle colonne doriche, dopo la proposta di bisturi “intelligente” con cui Intervenire sui palazzi della cittA vecchia, dopo la balzana idea di silos in cemento per auto, sotterranei, da realizzare nella discesa Vasto, si risveglia un non meglio definito amore per Taranto Vecchia e si tenta di far “sloggiare” il costruttivo dello scultore concittadino Nicola Carrino da Piazza Fontana.

Il proposito, in verità, non è solo antico, ma anche molto recente. Basta ricordare la sconcertante iniziativa di abbattimento ricostruzione della fontana, assunta nel 1995 dai giovani del Circolo “Sandro Romano” di Alleanza Nazionale (vedi il “Dialogo” del 27 ottobre e del 10 dicembre ‘95), poi opportunamente accantonata, ovvero il proliferare di orrende insegne luminose, vera offesa all’arredo urbano, dislocate nella piazza, per giungere alla delibera adottata dalla Giunta Di Bello (una delle prime, la n. 58 del 7/6/2000) nella quale si legge che Piazza Fontana “Negli ultimi decenni è stata oggetio di rivitalizzazione con una sistemazione generale ad opera dell’artista tarantino Nicola Carrino, che riutilizzò i pochi resti residui della fontana ottocentesca con moduli di acciaio, creando una sintesi che simboleggia la integrazione tra l’antico e il moderno e la tendenza nuova verso uno sviluppo economico di tipo industriale della Città”.

Però, in delibera aggiunge: ‘In Tale circostanza va colta l’occasione per far smontare i moduli di acciaio e far verificare da esperti il loro stato di salute ed eventualmente farli risanare”.

Ed ancora: “In tale contesto appare opportuno che la pubblica amministrazione faccia effèttuare apposito studio circa la eventualità di poter riportare la fontana e l’intera piazza ad essa collegata ai suoi veri antichi splendori”.

Verrebbe da esclamare con una vena di sottile ironia: «Quod non fecerunt barbari,fecerunt...’.

Non credo che questa volta sia necessario ricorrere all’incatenamento (vedi la pubblica manifestazione promossa il l marzo ‘98 per rivalutare le colonne doriche) per contribuire a “salvare” anche piazza Fontana. Credo sia sufficiente la parola dell’artista.

E’ per questo che ho voluto incontrare immediatamente Nicola Carrino nel suo studio in Roma, per un franco scambio di idee che serva a placare taluni bollenti spiriti ed a far rispettare l’opera - fra l’altro realizzata con fondi FIO - e non ancora, forse, formalmente consegnata alla municipalità, a causa di un groviglio giuridico da sciogliere. Sicché, a prescindere da ogni altra considerazione, vi sono ostacoli formali, legali e burocratici che devono ancora essere superati.

Nel realizzare l’opera Carrino ha certamente agito con la libertà dello scultore: In modo innovativo, ha letto ed accostato gli avvenimenti significativi legati alla città di Taranto ed alla piazza, a lui ben nota per esservi nato e cresciuto. Rispettoso della realtà storica ed ambientale, ma libero nella interpretazione creativa, secondo un costante scambio di idee con la committenza (durante i lavori si sono succedute tre giunte comunali), Carrino ha realizzato un’opera di acciaio sul tessuto urbano che, nel suo complesso, non può e non deve essere assolutamente rimossa.

Solo chi non sa che la scultura è la forma del luogo, anzi è il luogo stesso, può perdersi in messaggi anticulturali. Quando si deve materializzare un intervento artistico (altrimenti, perché si incarica un artista?) il principio da seguire è ovvio, elementare: il “luogo” domanda, l’artista risponde. E la risposta passa attraverso un processo analitico che conduce al progetto: il risultato finale è il “prodotto artistico”.

Nel caso di specie, la fontana antica, neoclassica, era l’elemento propulsore di tutto l’intervento di restauro. Su tale base, attraverso una continuità nella ricerca, ricostruzione ed interpretazione, si è sviluppato un percorso ermeneutico realizzato da Nicola Carrino con la genialità che ha come dato di misura un modulo costante che, attraverso l’acciaio, anima e dà forza alla complessiva realtà di Piazza Fontana, in un “continuum” creativo fra passato e presente.

La creatività - lo sappiamo tutti - è una indagine che conduce alla conoscenza attraverso un procedimento interpretativo basato sulla “contraddizione’. Da ciò nasce il “logos”. che si traduce nel messaggio dell’artista.

E’ per questo che ritengo che questa “vicenda Piazza Fontana” sia un pretesto, peraltro banale, per riproporre antiche questioni sul destino di Taranto e del suo borgo antico.

Ho detto altre volte (vedi “Corriere del Giorno” dei 20/3/98 e del 16/12/98) che i tarantini hanno ancora capacità di reagire al perpetuarsi del disegno di rendere la loro città un’unica, immensa periferia archeo-post industriale, posta in essere nell’interesse non sappiamo ancora bene di chi.

Sappiamo tutti, però, che l’unica procedura innovativa per affrontare il tema del risanamento del borgo antico è anche la rilettura del piano Blandino, la sua applicazione corretta, coerente, scientificamente rigorosa, con l’analisi e la critica costruttiva dl quanto è stato fatto, la proposizione di quanto e come si dovrà ancora fare.

Piazza Fontana è ora la spia di un malessere per superare il quale bisogna avere il coraggio di scegliere percorsi positivi, e certamente non demolitori dell’esistente. A suo tempo, non a caso, è stato il segno dl speranza della rinascita del borgo antico. Ma torniamo a Piazza Fontana e facciamo parlare Nicola Carrino.

L’amministrazione comunale di Taranto le ha commissionato nel 1983 un intervento plastico per il riassetto urbano di Piazza Fontana. Come si opera, in genere, in tali casi, per realizzare il miglior risultato?

«Il primo approccio in termini pratici si articola nel sopralluogo e nello scambio di idee con la committenza. Si legge il luogo di intervento e si individuano le direttrici significanti e i parametri di scansione dello spazio, ricavandone il modulo possibile che sia il parametro guida nella progettazione. Per l’intervento di riassetto urbano della Piazza Fontana a Taranto, tale elemento consisteva nel recupero di una fontana ottocentesca a suo tempo insistente sulla piazza. La serie numerica di sviluppo individuata nella ricostruzione operata ha diretto tutte le altre misure, della nuova fontana scultura e della definizione architettonica della piazza stessa.

Per questo progetto ho operato da solo facendo esperienza delle enormi difficoltà che quotidianamente devono affrontarsi in questi casi. Comprese alla fine le polemiche, quantunque il progetto fosse stato ampiamente illustrato alle Amministrazioni, tre in corso d’opera, e alla cittadinanza. Quello della comprensione dell’arte contemporanea è ancora un grosso scoglio che si tenta di superare, alla fine di un secolo di ricerca e attuazione.

La scultura di Taranto è composta da moduli in acciaio inox, relazionandosi alla città come produttrice dell’acciaio. La misura del modulo è definita dalla parte mancante e necessitante nella ricostruzione della fontana antica. L’insieme dei 36 moduli a forma di L, realizza una parete semifinita a ricordo delle mura aragonesi sussistenti sulla piazza e abbattute all’inizio del secolo, i riferimenti al luogo fanno parte della cultura e della memoria storica cittadina.

L’intervento nel centri storici non può prescindere da una cultura e dalle regole del restauro oltre che dalle regole dell’urbano, assumendosi l’onere di tutte le problematiche insistenti. Adeguarsi cioè al contesto persistente per affinità o porsi per contrasto? Ancora una volta dico che le ragioni del progetto sono da individuarsi nelle ragioni del luogo, al di fuori di regole precostituite o idealmente concepite come dimensioni del puro estetico. Per Piazza Fontana la commistione tra antico e moderno non risulta da una preconcetta visione “postmoderna” ma dalla necessità del progetto.

Infatti la mia scultura contemporanea fa da supporto e quindi si integra, appropriandosene, all’architettura-fontana antica’.

Il ferro ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo; quale ruolo avranno le leghe metalliche nell’opera di Carrino del prossimo futuro e più in generale nel futuro di tutti noi?

“L’acciaio al titanio è la lega del giorno. Prospetta l’inalterabilità, forse l’indistruttibilità nel tempo futuro. Si pone come alternativa alla transitorietà del virtuale.

Ma materiale del fare scultura o del fare arte in genere non è solo quelli sostanziale delle nuove leghe. Nuove leghe metaforicamente possiamo intendere essere le metodologie operative che conducono alla possibile realizzazione delle forme. E’ Indubbio ch il lavoro di Gehry a Bilbao sia da considerarsi una grande scultura Qui la comp1essità della forma si è potuta ottenere tramite l’uso della programmazione digitalizzata che ha assistito tutto l’arco progettuale dell’opera. Queste metodologie “virtuali e “immateriali” sono oggi la “sostanza metodologica” dell’opera plastica”.

Quali sono stati gli inizi del su lavoro?

“Nella biografia di Eiseninan ho letto che, come me, è nato nel ‘32: siamo della stessa generazione e quindi allo stesso modo abbiamo potuto affrontare il problema della ricerca della forma.

Negli anni ‘60 ci siamo posti questo assunto proprio per superare la cosiddetta condizione “informale” cioè il massimo dell’espressione automatica, si diceva irrazionale, della pittura di tutta l’arte sino allora vissuta. Sentivamo, o perlomeno una parte degli artisti sentiva la necessità di riordinare il linguaggio dell’arte, il discorso degli elementi costitutivi del fare arte. In effetti volevamo capire il significato autonomo della linea, del punto, dello spazio e quindi le ragioni della forma, il suo nascere e determinarsi, le leggi che sovrintendono alla sua evoluzione, lo scarto tra l’essere e l’apparire della forma stessa cioè quello che la forma è in realtà e quello che della forma si percepisce nell’istante determinato in cui la percezione avviene anche in relazione alla formazione e alla sensibilità individuale.

Dunque questi erano i problemi che necessitavano soluzione in quel determinato momento, ed io li ho esaminati in Italia con il “Gruppo I”, insieme ad altri cinque artisti, perché con loro ritenevo con un lavoro del genere dovesse svolgersi e confrontarsi all’interno dl un gruppo, per giungere a risultati comuni attraverso le diverse soggettività. La ricerca quindi si sviluppò sull’analisi della forma sotto l’aspetto strutturale, al di fuori di un intendimento finalizzato all’uso della forma stessa.

Nel gruppo siamo partiti dall’analisi del cubo come forma primaria, come piccola cellula più facilmente individuabile. L’analisi prosegui in due direzioni: all’interno ed all’esterno dello spazio cubico, inteso come esemplificazione possibile di uno spazio determinato, partendo da punti notevoli del campo esaminato, per proiettare il concetto dl struttura ad ambiti più vasti, al campo agibile dello spazio urbano, organizzando la forma su sistemi reticolari per avere punti dl riferimento, come è necessario debbano esserci, laddove si finalizza all’attuazione di un progetto.

Nel ‘67 si chiuse l’operazione del “Gruppo I’. Quando dal lavoro in comune sentimmo il bisogno di procedere individualmente, e quindi da quello che era stato lo studio dell’organizzazione formale rispondente a precisi riferimenti, proposi lo sconvolgimento della forma e di conseguenza della situazione ambientale in la forma si immetteva, passando vicendevolmente da un ordine a un disordine con un preciso significato e motivazioni. Ritenevo infatti che sia l’ordine che il disordine fossero componenti dello stesso processo evolutivo della forma, facendo parte del divenire naturale delle cose.

Alla fine degli anni ‘60 si pensava, in sintonia con i movimenti della contestazione che l’arte non fosse tanto importante quanto potesse essere il cambiare la società. Come artista, quindi, cercando di salvare il sistema dell’arte, proponevo la trasformazione e la rigenerazione del sistema formale attraverso i “Costruttivi Trasformabili”. In effetti quando un sistema ha comunicato il più possibile, è necessano che si evolva, che si adegui, rispondendo da una parte alle necessarie richieste che vengono dal reale, dall’altra agli interessi dell’artista che in tal caso si propone e si esprime come "ricercatore" e non solo come "operatore estetico"”.

Quale considerazione si ha per la scultura urbana?

«Quando una amministrazione cittadina ti fa realizzare un progetto per la città, una volta finita ed inaugurata l’opera, questa viene spesso abbandonata a se stessa.

L’incuria è totale. Non si provvede all’ordinaria manutenzione. Se poi l’amministrazione che segue quella committente è di formazione politica diversa, anche oggi nella “normale” alternanza maggioritaria, disconosce puntualmente quanto promosso dalla giunta o dalle giunte precedenti (la realizzazione di un progetto urbano “serio” impiega dieci anni almeno) e giù a raccogliere firme per l’abbattimento totale dell’opera”.

Verso la fine degli anni ‘60 ha usato molto il ferro verniciato per le sue opere. In seguito, alla Biennale del 1970 ha presentato un’intera sala piena di “elementi costruttivi trasformabili”in ferro per continuare poi, negli anni, con realizzazioni in diverse leghe come l’acciaio inox o l’acciaio corten. In quali casi e perché usa una lega piuttosto di un’altra?

“Alla fine degli anni ‘60, esaurita la ricerca “grammaticale” nelle ragioni della forma, ho guardato al mio lavoro con maggiore consapevolezza. Ritenevo, e ne sono ancora convinto, che l’opera d’arte fosse solo un tramite della comunicazione trasformativa dell’arte e che l’oggetto investito di queste possibilità, potesse agire solo nel momento in cui fosse stato prodotto e impiegato.

Realizzai pertanto una serie di insiemi plastici modulari in ferro, aggregabili e disaggregabili, che potessero agire in sintonia con le diverse realtà temporali ed ambientali.

I “Costruttivi Trasformabili”. Il ferro è materia originaria e primordiale, come originaria e l’unità modulare. 1 Costruttivi Trasformabili hanno inteso comunicare l’ideologia della trasformazione. Quando un sistema non è più producente è necessario cambiarlo. L’arte deve pur avere un fine didattico. Innestare possibilmente una funzione politica oltre che esistenziale motiva e dà ragione di essere e sostanziare la forma. Il ferro dei Costruttivi, di forte espressività, invita all’azione.

A Taranto ho usato l’acciaio inox in quanto la produzione del ferro con le sue polveri che inevitabilmente cadono sulla città, distrugge il ferro stesso, l’acciaio comune.

Nei luoghi aperti uso ancora l’acciaio corten perché la sua patina d’ossidazione protegge dall’ulteriore passivazione. Oggi, per molti lavori stabili, sia in ambienti naturali che in contesti urbani, uso diverse pietre, come materiale tratto dal luogo d’intervento”.

Ritiene ancora possibile riportare a nuova vita la città vecchia?

“E’ un impegno esaltante portare a nuova vita la città vecchia, ma l’operazione, per l’ampiezza delle sue dimensioni, richiede maggiore presa di coscienza e partecipazione da parte della città intera. Il recupero, è evidente, non può essere inteso come fatto esclusivamente architettonico, ma deve essere anche sociale e ricostitutivo dell’ambiente.

A mio avviso, l’arte portata in mostra alla città vecchia, così come proposto, anche in maniera continuativa, può essere un modo di farvi affluire un maggior numero di persone, sensibilizzando quindi l’opinione pubblica sulla problematica in atto, ma per rivitalizzare la zona occorre ben altro, soprattutto idee chiare di programmazione, risorse finanziarie e scelte oculate nell’assegnazione degli stabili risanati, oltre che una generale presa di coscienza da parte di tutti”.

Che direbbe se davvero manomettessero Piazza Fontana?

«Ricorderei quello che disse Aldo Rossi, un architetto che ha progettato cose straordinarie in tutto il mondo, ma che a Milano (città dove è nato e dove si è formato) ha realizzato solo una controversa fontana -monumento, dedicata a Pertini, dl fronte a via Montenapoleone: “Non mi dispiacerebbe l’idea record di unico artista moderno la cui opera sia stata abbattuta a furor di popolo”».

Quali iniziative ha adottato quando le è stata comunicata la proposta di “rivisitare” piazza Fontana?

«Ho scritto due lettere al Sindaco, non ho avuto risposta. Ma confido che il buon senso prevalga, non solo per il rispetto dovuto alla mia opera, quanto per il buon nome della nostra Taranto”.