1990 Prova Penale

PROVA PENALE E CIVILE E TECNICHE DI INVESTIGAZIONE

Rivolgo un saluto di benvenuto ad avvocati e detectives, per la prima volta insieme in un convegno di carattere nazionale allo scopo — dicono i maligni — di rifarsi un look in vista del nuovo codice di procedura penale. In verità la cosa è molto più seria. Questa esperienza viene da lontano: da un precedente tentativo ben riuscito, svolto proprio a Taranto, nel 1983, ad iniziativa della Federpol, con una brillante relazione del giudice istruttore, dott. Pesiri. Poi vi furono altre esperienze di natura pratica, operativa attraverso il 32° e 33° congresso della Federpol dello scorso anno e di quest’anno, in occasione dei quali la Federavvocati è stata presente con delle relazioni che sono state il primo approccio a questa interrelazione fra avvocati e detectives.

Credo che alla base della nostra esperienza di oggi vi sia il messaggio, che il nuovo codice di procedura penale lancia, cioè la possibilità data al cittadino, all’imputato (direi comunque al cittadino perché, come di qui a un momento accennerò, vi è una nuova figura che si propone all’interno del processo penale, accanto all’imputato), di manifestare e realizzare il diritto di difendersi provando. Non è un caso che nel nuovo codice di procedura penale alla prova sia dedicato un intero libro.

Questo convegno, insieme con tutte le problematiche che rappresentano un po’ la centralità e il cuore del processo penale, ha una linea parallela: è quella della prova civile, un argomento suggestivo, un terreno di studio nuovo che riguarda i problemi della cosiddetta “prova atipica”, che, ovviamente, interessa sia avvocati, sia investigatori per le possibilità di presenza e di intervento che si potranno realizzare. Siamo ansiosi di conoscere anche questo spaccato di vita professionale che ci si apre, su questo specifico settore.

Con riferimento al processo penale, io penso di poter dire che in questo momento l’avvocato si trova un po’ come don Abbondio. Solo che al famoso bivio non ci sono i bravi, ma la volontà politica che, non in negativo ma in positivo questa volta, dice che “il processo s’ha da fare”. E sin qui sembra che ormai si sia tutti d’accordo. E che ci sia questa volontà politica di realizzare il nuovo processo penale credo che lo si colga anche da un percorso a marce forzate che gli operatori giudiziari (in questa categoria inserendo un po’ tutti quelli che si interessano di cose di giustizia) vanno facendo. Ormai non c’è sabato che non sia di tipo processual-penalista.

Mentre noi discutiamo qui, a Padova si svolge un convegno sul processo penale pretorile; la scorsa settimana a Firenze si è tenuta una fase di un interessantissimo convegno sul processo penale organizzato proprio dagli investigatori privati; la settimana precedente in contemporanea a Fiuggi e altrove vi erano convegni sul processo penale. Che significa questo? Significa che la realtà è certamente in movimento e che questo processo diventerà certamente realtà. Devo dire subito che i giudici si stanno organizzando e attrezzando. Da notizie che noi abbia mai avuto dal Consiglio superiore della magistratura risulta che già mille magistrati hanno chiesto di partecipare ad esperienze seminariali per la conoscenza e l’approfondimento del nuovo processo penale. Ciò significa evidentemente che vi è una linea di tendenza positiva perché, se le date saranno rispettate, arriveremo all’89, al ‘90 al massimo, con questa nuova realtà dinanzi agli occhi. Credo che però, per noi avvocati questo processo non debba alimentare facili entusiasmi. Personalmente non sono scettico, non sono critico ma ho ancora delle perplessità e le manifesto. Una certa pubblicistica contrabbanda il progetto del nuovo codice di procedura penale come un processo accusatorio di tipo americano. In effetti sarebbe più corretto definirlo “con tendenze accusatorie”, se è vero che vi sono una serie di vischiosità che non riescono ancora a far decollare il processo verso quella tipologia di tipo anglosassone, che ha radici ben salde nei territori dove quel tipo di processo opera. Vi è un’altra espressione che ormai sentiamo sovente: “si realizzerà un processo ad armi pari”. Io circa questa parità di armi fra accusa e difesa ho non poche preoccupazioni, perché, mentre l’accusa — e per essa il pubblico ministero — continuerà a servirsi delle tante polizie di cui la Repubblica italiana è ben fornita la difesa solo ora lancia un segnale agli investiga tori privati. Lancia un segnale a chi, tecnicamente, potrà apprestare i mezzi per poter conoscere le fonti di prova e poter realizzare quel principio-diritto di difendersi provando, Ma finché noi cominciamo ad imparare a lavorare in modo nuovo le polizie sono già al servizio della accusa, e quindi sono già attrezzate 18 per realizzare quel fine che noi dovremo invece soltanto cominciare a costruire. Non a caso, leggendo il codice di procedura penale che si va fabbricando, si coglie un’immagine del pubblico ministero che è, direi, un po’ un commissario ad alto livello, più poliziotto che accusatore, ma le variabili concettuali le lascio a voi, per tutto ciò che possa venire in conseguenza.

Terzo rilievo. Si è detto: “finalmente è stato rimosso il potere di cattura da parte del pubblico ministero”. I tecnici sanno però che il progetto contiene un’altra serie dì elementi che danno lo stesso al pubblico ministero una dimensione apicale, verticistica, di frontiera, attraverso certi atti che vengono definiti “atti non ripetibili” o “atti non rinviabili” che, in effetti, costituiscono ugualmente la confezione di un piccolo processo che viene fatto, non certo contro la difesa, ma senza che la difesa possa trovarsi in posizione di parità.

Questi sono dei rilievi che mi permetto di fare, perché sono convinto che potranno costituire oggetto di riflessione, innanzi tutto per me, ma anche per tutti coloro che vogliono piegarsi su questa grossa realtà. Grossa realtà che è rappresentata da un problema fondamentale. Dicevo prima “il cuore”: è quello della prova nel processo. Come riuscire a lavorare in termini di prova? Noi avvocati eravamo abituati nel passato a vederci consegnare la copia del processo dal nostro cliente. Che cosa dovrà fare oggi, invece, l’avvocato per poter cambiare questa realtà operativa? Dovrà innanzi tutto, oltre che acculturarsi, manifestare più che una rimozione di questo tipo di costume che fino ad oggi ha caratterizzato il suo lavoro acquisire proprio una nuova cultura: la cultura della prova, la ricerca della prova e la impostazione di tutto un percorso che, attraverso la prova, nel processo si realizza. Non a caso, in questa serie di interventi, ve n’è uno che credo costituisca uno dei dati maggiormente significativi, e cioè il passaggio dalla testimonianza all’interrogatorio incrociato, e il passaggio quindi, per esempio, per l’avvocato, dalla fase in cui — lo sappiamo tutti — l’avvocato si picca di dire “io coi testimoni non parlo” (tra l’altro non si sa dove sia scritto che all’avvocato è impedito, interdetto di parlare coi testimoni), a una fase nuova, che sarà quella invece del lavorio intorno al testimone, per il raggiungimento della prova. E che cosa fare con gli investigatori? Io ho avvertito, in occasione di altre esperienze di lavoro e seminariali che abbiamo avuto in comune, una piccola vena di amarezza da parte degli investigatori privati, i quali temono che in effetti essi possano finire col diventare i ragazzi di bottega dell’avvocato, nel senso che lavorano per conto dell’avvocato, però non sono protagonisti. In un certo senso il loro lamento è giusto, perché la commissione Pisapia, degli investigatori privati non parla, li ha lasciati ai margini del processo, anche se ha lasciato uno spiraglio che è rappresentato dalla possibilità per i difensori di utilizzare servizi di consulenti tecnici e forse sotto questo aspetto l’investigatore potrà essere collocato in senso vicario accanto all’avvocato per realizzare quello che è il fine della ricerca della prova. E allora direi che questo è un dato estremamente importante, che si accosta ad una lunga operazione di decriminalizzazione dei reati oggi a minor tasso di disvalore sociale, che dovrà ovviamente portare l’amministrazione della giustizia a badare prevalentemente ai grossi fatti, alle grosse questioni che intossicano la vita sociale, ai grossi delitti. La eliminazione dei reati bagatellari provocherà certamente una contrazione del lavoro spicciolo, ma darà maggiore impegno, e su quel maggiore impegno si verificherà quello sforzo di nuova cultura e di nuova professionalità che agli avvocati si chiederà. È questa nuova cultura della prova che anche attraverso il processo penale gli investigatori dovranno manifestare. Partiamo da zero? Sarà anche per noi un’opzione zero da tenere in considerazione. Però credo che non sia da sottacere e da trascurare. Il momento è certamente difficile, perché una cosa nuova, specialmente se attesa da tanti anni, può costituire motivo di ansie e di preoccupazioni. Io credo che il nuovo processo penale debba essere accolto né con facili entusiasmi, né con le antiche diffidenze che molte volte nell’avvocatura, specialmente in quella parte meno consapevole della ricerca e del progresso, vi sono state e — non possiamo trascurano — hanno costituito anche motivo di grandi ritardi e di grandi vischiosità. La conclusione, a mio avviso, è una e una sola.

Senza scomodare immagini del passato, mi permetto di leggere soltanto una piccola conclusione che io ho già tratto in occasione di precedenti esperienze. Quello della prova e dei mezzi di ricerca della prova è il terreno in cui, negli anni a venire, dovrà muoversi l’avvocato, e con lui il detective, quel tipo di collaboratore, la cui originale sagoma, anche da un punto di vista tecnico, non appare sia stata ancora ritagliata e che tuttavia si delinea prepotente, per ora ai margini del nuovo processo, a metà strada fra la necessità e il fascino. E, concludendo, io credo che, guardandoci negli occhi, manifesteremo quelle che sono volontà non legate soltanto a un problema di bottega, alla ricerca di nuove occasioni di guadagno, ma che servano a costruire quella nuova cultura e quella nuova professionalità. Al di là delle amenità di soggetti che possono giocare a fare gli 007, o che sognino di incarnare un Perry Mason, che in questo processo è sempre più lontano credo si debba dire che il nuovo processo penale, nell’intreccio e nella individuata complessità del sistema delle prove così come i relatori (tutti egregi, tutti bravi) hanno cercato di cogliere nelle loro capacità professionali quello che è il meglio che possa essere fornito in questa nostra esperienza, è affidato, oltre che a facili intuizioni che da sempre sono state bagaglio di professionisti accreditati, a raffinate, studiate e talvolta faticose tecniche di indagine, di impostazione, metodologia di ricerca, serietà e segretezza operativa, per quanto riguarda sia gli avvocati sia i detectives. E allora, se questo è il terreno sul quale lavorare insieme (e dovremo lavorare insieme perché c’è una scommessa che viene fatta sul nuovo codice di procedura penale) credo che tutti, volenterosi professionisti della difesa e della indagine, sapremo insieme vincere davvero questa scommessa con possibilità — io dico sia di successi personali, sia di risultati positivi, al servizio dei cittadini e al servizio anche di quelle parti lese, che sono diventate ulteriori protagoniste del processo penale. Questo significherà, forse, fare attraverso la cultura del nuovo processo penale, un lavoro perché quella nuova giustizia giusta, a cui tutti guardiamo, non rimanga nel libro dei sogni ma sia espressione di progresso e di nuova cultura.

Io mi fermo e cedo immediatamente la parola all’amico Graziano Nicolai e ciò facendo, attraverso lui,ringrazio Luciano Dattilo, segretario generale, ringrazio Vito Spinelli, che è stato punto di riferimento a Taranto della Federpol, e credo di poter dire che attraverso questa esperienza vissuta insieme, non solo a livello istituzionale, ma anche nella quotidianità del nostro lavoro, potremo realizzare qualcosa di buono per gli altri innanzi tutto, ma anche per noi.