2005 Tutela

LA TUTELA DEL MEDICO

E’ stato più volte rilevato che la responsabilità medica è ormai classificata all’interno della responsabilità civile come un vero e proprio “sottosistema”, sicché arriverebbe a sfiorare, capovolgendo la situazione originaria di protezione speciale del professionista, una dimensione parogettiva della responsabilità o, comunque, aggravata.

Una conferma di questo assunto si coglie anche nelle argomentazioni sviluppate nella sentenza 9471 del 2004 dalla Terza Sezione Civile (in Diritto e Giustizia, N. 25/04, pag, 32 e segg.) e nello stesso titolo della relativa nota di Marco Rossetti (“Per il medico convenuto sempre più difficile difendersi”).

L’assedio alla classe medica, lungi dall’aver rallentato la sua frequenza ed intensità dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione del 10.7.02 n. 27, Franzese (in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale N. 3, lug-sett. 2002, pag. 1133); è tuttora in corso in modo deciso e sempre più articolato. Infatti, per le vittime della malpractice medica si è ritenuto di individuare un onere di allegazione semplificato sul piano probatorio, più o meno circoscritto alla entità del danno subito. Poiché la gente si è abituata a pretendere la guarigione assoluta, non si può fare a mano di affermare: “medice, cura te ipsum “, perché è ben difficile che il sottosistema ti risparmierà!

Il ring all’interno del quale va sviluppandosi la complessa contesa paziente-medico può essere rappresentato da due espressioni:

“malpractice” (atto del medico) e “malasanità” (cattiva gestione dell’assistenza sanitaria e l’insieme delle situazioni che ne rendono evidente il disservizio o danno al cittadino).

Ciò che non trova i medici rassegnati alla soccombenza è la problematica legata alle law suit, cioè alle azioni giudiziarie pretestuose ed infondate che, al di là di notazioni letterarie o di riscontri sociologici, rappresentano in modo icastico il livello di tensione ormai raggiunto all’interno della classe medica, che con forte sensibilità avverte il bisogno effettivo di tutela contro le accuse ritenute ingiuste.

E’ bene chiarire che, a monte di accuse di tal natura, è illusorio il solo richiamo al consenso informato ovvero, sul piano semplicemente reattivo, la definizione di coloro che pretestuosamente propongono azioni temerarie come speculatori del dolore. E’doveroso constatare che esiste un ambito in cui l’accusa può essere ritenuta giusta o ingiusta, rappresentato dal processo e dalla sentenza. Soltanto a seguito di una pronuncia che qualifichi ingiusta l’az ione proposta nei confronti del professionista, costui potrà valutare l’opportunità di agire a sua tutela, sia pur con gli opportuni limiti, per ottenere un risarcimento conseguente ai torti o ai danni conseguenti alla improvvida azione proposta nei suoi confronti.

Si deve inoltre rilevare che, ancor prima, esiste, comunque, l’evento che ha determinato la rottura del feeling fra paziente e medico, sicché la messa in crisi di questo particolare rapporto, che rappresenta un vero e proprio modello di interrelazione fra libero professionista e cliente, assume connotati molto particolari, solcati da diverse variabili su cui occorre seriamente riflettere prima di agire. L’evento ritenuto negativo, che spinge il paziente all’iniziativa contro il medico (ed oggi, con un trend sempre più crescente, anche contro il proprio legale), è rapportabile al ritenuto errore diagnostico, allo scarto di diligenza rispetto agli standard acquisiti, ai metodi terapeutici da seguire nell’ambito della perizia e della prudenza e, in definitiva, al quadro complessivo dei comportamenti che ormai sono individuabili a seguito dello screening giurisprudenziale di merito e di legittimità.

Perché il medico possa affermare di essere stato accusato ingiustamente, occorre che acquisisca certezze che superino stati d’animo o di vero e proprio malessere, umanamente giustificabili, ma non sufficienti a rappresentare il caposaldo per una azione, sia pur in presenza di effetti devastanti nella propria vita professionale, familiare e di relazione. Tuttavia, è anche evidente che a fronte di una accusa formulata al medico e ritenuta giudiziariamente calunniosa o, comunque, severamente sottoposta al vaglio del magistrato, scatteranno addirittura de plano meccanismi giudiziari difficilmente rimuovibili anche da parte del medico, con la sua sola rassegnazione e rinuncia alla denunzia contro il paziente temerario. Ma la casistica, articolata e complessa, delle prestazioni mediche messe in discussione, deve indurre alla prudenza ed alla massima obiettività. D’altra parte la nota sentenza Franzese sopra richiamata, che pur ha rappresentato una svolta nell’esame delle problematiche relative alla malpractice medica ed al cattiva funzionamento delle strutture sanitarie pubbliche e private nel nostro paese, non ha rappresentato una soluzione catartica ed ha aperto la strada a non pochi distinguo che ancor oggi impegnano i cultori della materia in esame.

Non si può sottacere, inoltre, che molti casi di errore diagnostico o comunque, di colpa medica per negligenza, imprudenza o imperizia, negli ospedali o nelle cliniche, derivano anche da problemi organizzativi o dalla dotazione delle strutture di apparecchiature obsolete o-comunque non al passo con il progresso scientifico. Peraltro, negli USA, in particolare in Florida, è in vigore la regola “three strik law”, la legge del baseball. Così come il battitore che sbaglia tre volte di seguito esce dal campo, il medico nei cui confronti vengano accertati tre errori lascia la corsia dell’ospedale e perde la licenza.

In Italia i giudizi pendenti per colpa medica sono oltre ventimila, con un contenzioso che supera i tre miliardi di euro. Fratture non individuate, protesi fuori misura, frammenti di bisturi incastrati nel menisco, infezioni di tutti i tipi: la casistica è davvero variegata ed allarmante. Dal 1994 al 2004 le denunce per colpa professionale sono aumentate del 148% e quelle per responsabilità della strutture sanitarie del 31%. Il costo medio dei sinistri per le strutture sanitarie è esploso al +67%, contro quello del +21% per colpe dei medici.

In tale contesto la via giudiziaria, anche per il medico accusato ingiustamente, appare talvolta laboriosa ed impegnativa. Occorrono invece meccanismi rapidi di soluzione di natura stragiudiziale insieme con la previsione di un patto di conciliazione, nonché opportuni approfondimenti del Disegno di Legge Tommasini che giace in Parlamento. Occorre, inoltre, che la riforma del codice penale preveda un maggior rigore nell’accertamento del nesso causale e la definizione di nuovi istituti come la “necessità medica” per delimitare la responsabilità negli interventi urgenti. Intanto, sono scattati da tempo meccanismi di autodifesa dei medici (c.d. medicina difensiva) con trattamenti laboriosi e controlli ripetuti atti a scongiurare il rischio di finire in Tribunale.

E’ davvero assurdo pensare che i medici possano svolgere la loro attività con l’assillo di conseguenze giudiziarie rivenienti da possibili errori strumentalizzati da un sistema risarcitorio che tiene conto di un Servizio Sanitario Nazionale .e di un meccanismo assicurativo differente da quello esistente negli USA.

Carenze organizzative, qualitative e di dotazione dei servizi offerti dalle strutture sanitarie condizionano la sicurezza e la qualità delle prestazioni mediche. La spirale di rabbia dei malati ingigantisce il terrore della classe medica, nell’ambito della quale ortopedici, chirurghi, ginecologi, oncologi e, in buona sostanza, tutti gli specialisti vedono sottoposto a dura prova l’esercizio delle loro capacità professionali. L’alta rilevanza del rischio sanitario e l’effetto negativo dell’esasperato ricorso alla via giudiziaria per la soluzione delle controversie potranno essere sanati solo sul piano legislativo e da uno sforzo comune che faccia davvero riflettere.

In caso contrario anche al medico che vedrà accertata in giudizio la correttezza del suo operato non resterà che agire contro il paziente. Lo farà certamente a malincuore, memore di un giuramento di Ippocrate divenuto, purtroppo, un archetipo, travolto dal malessere di una società complessa e votata, più che al confronto, al conflitto.